Batterie al sale fuso: pro e contro di un’ “innovazione” vecchia di 40 anni

23 novembre 2022

Chimiche
Batterie al sale fuso: pro e contro di un’ “innovazione” vecchia di 40 anni | Flash Battery

Il futuro dell’energia sarà rinnovabile, ma non esistono soluzioni “miracolose” ed è importante fare chiarezza.

La puntata de LE IENE dal titolo “Rinnovabili, la rivoluzione di accumulatori e batterie” ha generato un grande interesse verso il tema delle batterie al sale fuso, le quali, però, non sono una tecnologia né nuova, né tantomeno perfetta. Analizziamo il funzionamento, i pro e contro.

Risparmio energetico e sviluppo sostenibile sono al centro di un dibattito globale sempre più orientato alla transizione energetica verso l’utilizzo di fonti rinnovabili, spinte da una maggiore consapevolezza dei danni provocati nel tempo dallo sfruttamento intensivo delle risorse energetiche e da un cambiamento climatico che ha convinto i paesi ad adottare iniziative e politiche green.

Per salvaguardare la nostra salute e quella del nostro pianeta è quindi essenziale un radicale cambio di pensiero ed un’azione condivisa, ma è anche importante fare chiarezza sulle tecnologie ad oggi disponibili e realmente efficaci, senza cadere nelle trappole generate dalla falsa informazione.

Siamo tutti d’accordo, il nostro futuro sarà guidato da un’energia rinnovabile, basti pensare a quella eolica e solare, ma attenzione: parliamo di fonti rinnovabili intermittenti, in quanto derivano da flussi naturali non sempre disponibili e spesso difficili da controllare. Ricordiamo che il sole non sempre splende e il vento non soffia tutti i giorni, e allora, come fare per sfruttare appieno la loro energia?

Batterie per l’accumulo di energia

Se l’introduzione delle batterie al litio ci permette di sfruttare quanto più possibile le energie rinnovabili grazie alla creazione di sistemi di accumulo, che consentono di immagazzinare energia per poi utilizzarla nei momenti in cui le fonti naturali non riescono ad erogarla, in campo di energy storage sono sempre più varie le soluzioni disponibili, ma non tutte ancora efficienti.

Il tam-tam mediatico che si è generato dopo la puntata del noto programma televisivo LE IENE del 18 ottobre 2022 dal titolo “Rinnovabili, la rivoluzione di accumulatori e batterie” ha portato alla ribalta il tema delle batterie al sale fuso, una tecnologia certamente interessante, ma né nuova, né tantomeno perfetta, come invece viene descritta. Nel servizio di Mediaset, infatti, le batterie al sale sono dipinte come una soluzione ideale per l’elettrificazione: batterie iper performanti, ecologiche, sicure, quasi eterne…Ma dove sta l’inghippo?

Ne abbiamo parlato nella puntata 45 di Battery Weekly 2022, la nostra rubrica settimanale di informazione sul mondo delle batterie, dove i nostri esperti di elettrificazione Marco Righi, Alan Pastorelli e Daniele Invernizzi hanno fatto luce su questa tanto discussa tecnologia, raccontandone origine, utilizzi, vantaggi, ma soprattutto, numerosi limiti.

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La rubrica live, ogni lunedì alle 18:00, sui canali LinkedIn e YouTube di Flash Battery, per fare il punto sugli ultimi trend di elettrificazione.

Le batterie cosiddette “al sale”, da non confondere con le batterie agli ioni di sodio, sono in realtà batterie al cloruro di sodio e metallo (SMC), composte da un catodo a base metallica e un anodo di sodio fuso, racchiusi in un involucro di acciaio e separati da una membrana di ceramica che fa passare i loro ioni, ma non gli elettroni, i quali invece si muovono tramite circuito elettrico esterno, in fase di carica o scarica.

Le batterie al sale sono composte da tante celle che al loro interno contengono un mix di diversi materiali oltre al sale, come allumina, ferro, sodio o altri derivati come cloruro e solfuro ferroso, cloruro di nichel, tetracloroalluminato di sodio, ecc.

Come funzionano le batterie al sale?

Per spiegarne il funzionamento, abbiamo preso spunto dalla scheda tecnica del produttore di batterie al sale FZSONICK, che ne illustra il processo nel dettaglio, spiegando come in fase di scarica, i materiali attivi sono cloruro di sodio e polveri metalliche, prevalentemente a base di nichel, mentre in fase di carica, questi vengono convertiti in cloruro di sodio e metallo.

L’elettrolita allo stato solido è la ß-allumina, la quale permette il trasporto degli ioni di sodio e assicura l’isolamento tra anodo e catodo. Le celle, per funzionare, devono essere portate a una temperatura di circa 250 °C e sono isolate termicamente tramite apposito involucro.

In molti si chiederanno: ma 250°C non è troppo?
L’alta temperatura è proprio uno degli aspetti caratterizzanti di queste batterie. Il cloruro di sodio utilizzato, perché funzioni, deve essere fuso e questo è il motivo per cui la temperatura va mantenuta così alta: la batteria al sale, infatti, funziona solo quando il sale è fuso e questo, come molti altri sali, fonde a temperature estremamente elevate, dai 200 ai 300 gradi: sono proprio queste le temperature interne di lavoro di queste batterie.

L’immagine di seguito dà uno spaccato molto chiaro della composizione di una batteria al sale fuso. Il cuore della batteria è composto da singoli elementi (celle) intorno ai 2,6 V ciascuno e, attorno a loro, sono posizionati diversi strati di isolante, che fungono da protezione e che compongono il resto della batteria, per fare in modo che il nucleo rimanga ad una temperatura costante di 250-270 °C circa.

Le batterie al sale sono state un’innovazione, negli anni 70!

Le batterie al sale fuso esistono in realtà da oltre 40 anni! Si tratta, infatti, di una tecnologia ormai consolidata, in un periodo storico a tratti molto simile a quello che stiamo vivendo oggi, in cui i prezzi del petrolio schizzarono alle stelle e portarono ad una vera e propria crisi energetica dove più e più studiosi si adoperarono per trovare soluzioni alternative.

Il caso della batteria ZEBRA

Una delle soluzioni per affrontare la crisi energetica si è concretizzata nello sviluppo della batteria ZEBRA (Zeolite Battery Research Africa) a base di sale fuso, studiata in primis dal ricercatore sudafricano Johan Coetzer al CSIR (Council for Scientific and Industrial Research) e brevettata nel 1978.

Negli anni questa batteria ha attirato l’attenzione di numerosi industriali, che l’hanno ulteriormente sviluppata e perfezionata, facendole fare il giro dell’Europa, passando da diverse mani, dall’inglese AERE Harwell, fino alla tedesca AEG e la svizzera FAMM, poi diventata MES-DEA, la prima a ufficializzarne la produzione su piccola scala e ad impiegarla anche su alcuni veicoli, come ad esempio alcuni autobus elettrici.

Oggi l’azienda esiste ancora, sotto il nome di FZSONICK e continua la sua produzione di batterie al cloruro di sodio metallico, implementate con sistemi sempre più all’avanguardia.

Parliamo sicuramente di una tecnologia con del potenziale, ma se in tutti questi anni non ha preso piede verso una produzione su larga scala, sicuramente è anche a causa dei diversi limiti di applicazione.

È vero, la tecnologia dietro alle batterie al sale fuso non ha mai sfondato, ma come ogni fonte energetica che si rispetti, ha i suoi pro e i suoi contro ed è più o meno efficace in base al settore di applicazione.

Analizziamo nel dettaglio i vantaggi e gli svantaggi delle batterie al sale.

Vantaggi di una batteria al sale

  • Sicurezza
  • Cicli vita paragonabili a quelli del litio
  • Facilità di smaltimento e riciclabilità
  • Utilizzo di materiali di facile reperibilità

Svantaggi di una batteria al sale

  • Devono essere tenute costantemente ad alta temperatura (>250°C) per funzionare
  • Per mantenere la temperatura di lavoro hanno un consumo costante di energia
  • Non performanti per elevate correnti di carica e scarica
  • Costo superiore alle batterie al litio
  • Non impiegabili per storage di medio e lungo periodo

Tra gli aspetti più interessanti di questa tecnologia, soprattutto al giorno d’oggi, dove la situazione geopolitica internazionale instabile ha generato diverse problematiche legate all’approvvigionamento di materiali, dobbiamo senz’altro annoverare la sua composizione: le batterie al sale fuso, infatti, sono composte da materie prime facilmente reperibili e disponibili in natura, come il semplice sale da cucina, il nichel, il ferro e la ceramica e sono, inoltre, semplici da smaltire.

Garantiscono, poi, lunghi cicli di vita: la scheda tecnica di FZSONICK che abbiamo analizzato, parla infatti di oltre 4,500 cicli di carica e scarica all’80%: un ottimo dato che, se fosse reale in tutti gli utilizzi, riuscirebbe ad eguagliare i cicli vita delle batterie al litio con chimica LFP.

La batteria al sale garantisce, infine, elevati standard di sicurezza, in quanto per la sua composizione intrinseca non può né bruciare né esplodere.

Parliamo quindi di batterie al sale sicure, durature e sostenibili. Ma allora, come mai in 40 anni di vita non hanno mai preso il posto delle batterie a litio?

Il vero tallone d’Achille delle batterie al sale fuso è da sempre legato al fatto che, per funzionare, necessitano una temperatura costante molto elevata, nell’ordine dei 250-300 °C, perché solo a tali temperature il sale può fondere. Questo aspetto porta con sé diverse problematiche, prendiamo, ad esempio, una batteria da 48V, 200Ah che eroga 9,6 kWh di energia e analizziamo cosa succede in una particolare fase di carica.

Nel grafico risulta evidente che, la fase di ricarica inizia solamente quando la temperatura interna raggiunge i 270°C. Se prestiamo attenzione all’asse inferiore che indica il tempo, notiamo che servono tra le 10,5 e le 11 ore solo per arrivare alla temperatura di fusione che permette alla batteria di funzionare. Visti i lunghi tempi di riscaldamento, risulta lampante il perché questa tecnologia non si sia mai allargata per l’utilizzo veicolare.

Un altro aspetto molto impattante legato alla temperatura è dato dall’auto scarica. Se partiamo da un SOC del 100%, la batteria per mantenersi in temperatura si scaricherà fino a zero in 80 ore.

Nel grafico sopra si capisce cosa succede quando si scollega la batteria dal caricabatterie e si lascia ferma: il BMS interno userà l’energia immagazzinata per tenersi alla temperatura di funzionamento, ma così facendo auto-consumerà la propria energia. Perciò, finché avrà energia, il pacco riuscirà a mantenersi a una temperatura costante, ma si scaricherà molto rapidamente. Vediamo infatti che in 80 ore il SOC arriva a zero, il che significa che in 24 ore la batteria userà il 30% della sua energia solo per mantenersi operativa (quindi, in un pacco batterie da 9,6 kWh, 3 kWh al giorno saranno dispersi solo per tenere in temperatura la batteria).

Quando la batteria si scarica fino a zero, a quel punto inizierà a raffreddarsi e non potrà funzionare previa altra fase di warm-up.

Si tratta di una problematica di non poco conto, facciamo un esempio concreto:

immaginiamo un’automobile in movimento il cui pacco batterie al sale fuso funziona perfettamente. Il guidatore, però, a un certo punto giunge a destinazione e spegne l’auto, lasciandola parcheggiata per un tempo imprecisato. Cosa succede se il pacco batteria si raffredda? La batteria si scarica e l’auto non parte più. Questo è proprio uno dei principali limiti: le batterie al sale consumano tanta energia e, per tenerle in funzionamento andrebbero lasciate costantemente attaccate alla colonnina di ricarica.

Utilizzi e applicazioni: dove ha senso utilizzare una batteria al sale?

L’auto scarica non è un elemento intrinseco alla cella in sé, ma dipende dall’isolamento termico utilizzato. Ovviamente, però, più la si isola limitando la dissipazione di calore nell’ambiente, più questa diventerà poco tollerante alle fasi di lavoro intense, in cui l’energia viene anche generata dalla sua resistenza interna e, a quel punto, non potrà più dissipare calore, andando in sovratemperatura.

Le batterie al sale fuso non sono quindi utilizzabili in ambito automotive o nel segmento delle macchine e dei veicoli industriali, che richiedono velocità di ricarica, elevate potenze di scarica e possibilità di fermi prolungati senza, però, perdere autonomia.

Il ciclo ideale per queste batterie dovrebbe essere:

  • Frequente con tempi di scarica dalle 2 alle 10 ore
  • Con una potenza intermedia, per aiutare il riscaldamento senza, però, rischiare di portarla in sovratemperatura
  • Con applicazioni on grid in cui la batteria può rimanere sempre collegata

Il grafico seguente indica proprio come il miglior impiego sia dalle 2 alle 10 ore di total backup time e questo, concretamente, si traduce nell’utilizzo in campo di energy storage, ideale in particolare in estate, quando la produzione fotovoltaica è molto elevata. D’inverno, però, quando la produzione è poca, bisogna comunque essere consapevoli che si avrà una perdita di energia costante per tenere la batteria in attività.

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Note*

Fonte Fig. 1: Esempio di batteria al sale. Immagine tratta da articolo GeoPop del 19/11/22. bit.ly/3ESXSox  
Fonte Fig. 2: Composizione di una batteria al sale. Immagine tratta da sito web produttore FZSONICK in data 22/11/22. http://bit.ly/3XmpvNP

Fonte Fig. 3: Curva di ricarica delle batterie al sale con fase di pre-riscaldamento. Immagine tratta da sito web produttore FZSONICK in data 22/11/22. http://bit.ly/3XmpvNP
Fonte Fig. 4: Auto scarica delle batterie al sale. Immagine tratta da sito web produttore FZSONICK in data 22/11/22. http://bit.ly/3XmpvNP
Fonte Fig. 5: Migliori condizioni di impiego delle batterie al sale (dalle 2 alle 10 ore di back up) . Immagine tratta da sito web produttore FZSONICK in data 22/11/22. http://bit.ly/3XmpvNP 

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